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| - E’ stato condannato a sei anni e dieci mesi di reclusione per molestie sessuali sulle bambine dell’asilo da lui diretto, ma per la diocesi di Bologna don Andrea Agostini era comunque meritevole di una promozione: ha pertanto ottenuto un nuovo e più prestigioso incarico presso il Santuario della Beata Vergine di San Luca, luogo simbolo del cattolicesimo bolognese. I pedofili non sono solo fra i preti, avverte il cardinale Camillo Ruini. Giustissima osservazione, purtroppo. Ma il problema, a mio avviso, non è stabilire se statisticamente ci sono più mele marce in un certo cesto o in un altro. Il problema è come si comporta il cesto. Fuor di metafora, cosa fa un’istituzione quando scopre o sospetta di avere un pedofilo in casa. Allora vi propongo un raccontino di fantasia. Seguitemi bene. In un asilo comunale di Bologna le maestre cominciano a sospettare del loro direttore didattico. Vedono che si avvicina alle bambine (con le quali non dovrebbe avere alcun contatto), le tocca, le prende in braccio, mette le mani dove non dovrebbe, le segue in bagno, inventa giochi molto più che ambigui. Scandalizzate ma incerte sul da farsi, cercano di avvertire qualcuno in Comune. Parlano con il direttore didattico di un asilo comunale vicino, che fa finta di niente. Parlano con il coordinatore didattico dell’assessorato, che si irrita e fa capire loro che potrebbero pagarne delle conseguenze se insistono (le maestre qualche mese dopo verranno in effetti tutte quante licenziate). Finalmente una semplice impiegata comunale, presente casualmente a uno di questi incontri, riesce ad avvertire l’assessore alla scuola. Questi convoca il direttore e gli dice: “Guardi che dicono che lei ha atteggiamenti pedofili». Il direttore si difende: «Sono calunnie, quelle insegnanti mi odiano, glielo giuro sulla Costituzione italiana!». L’assessore allora gli crede, non approfondisce ulteriormente e la cosa finisce solo con un piccolo rimbrotto: «Cerchi di stare lontano dalle bambine perché la gente è cattiva». Per un po’ a scuola non succede niente, ma qualche mese dopo un’altra insegnante becca il direttore mentre bacia sulla bocca una bambina, e decide di andare fino in fondo. Telefona in assessorato, chiede incontri all’assessore che nel frattempo è cambiato, manda un fax. Intanto però ha discusso con le altre insegnanti e con i genitori, e parte una denuncia. Quando l’insegnante viene finalmente convocata dall’assessore, questo si infuria: «Lei doveva risolvere i problemi, non crearne!» e la congeda dicendo: «Questo incontro non è mai avvenuto». Il direttore didattico intanto rimane al suo posto e il Comune non manda neanche un ispettore per vedere come stanno le cose, per parlare con le insegnanti e con i genitori: di fatto se ne disinteressa completamente. Due mesi dopo, il direttore didattico viene arrestato. Anche adesso il Comune rimane in assoluto silenzio: nessun commento, nessun bisogno di fornire spiegazioni all’opinione pubblica o semplicemente alle famiglie coinvolte. Quando il processo si apre, anzi, l’unica preoccupazione della Giunta è scaricarsi da ogni responsabilità: quell’asilo comunale non c’entra nulla con il Comune, è sotto l’esclusiva responsabilità del direttore che ne risponderà privatamente. Il direttore viene condannato a una pena pesante. Ancora una volta la giunta rimane in silenzio assoluto. Non rivolge né rivolgerà mai una parola di scuse ai genitori, o di rammarico alla cittadinanza. Non risponde neppure all’avvocato delle vittime che chiede chi risarcirà le famiglie così provate. Non risponde alle ripetute richieste di dichiarazioni e di interviste dei giornali. Un procedimento disciplinare viene in effetti aperto dalla Giunta a carico del suo dipendente, ma si svolge nel più assoluto segreto: nessuno è autorizzato a sapere come si sia concluso. Di fatto però il direttore didattico non viene licenziato, ma semplicemente trasferito in un altro ufficio comunale, piuttosto prestigioso, dove continua a svolgere un lavoro di responsabilità e a percepire un regolare stipendio. In vista del processo d’appello, il direttore didattico (che non ha neppure i soldi per risarcire le famiglie delle sue vittime) viene difeso da un importante avvocato bolognese che è anche il consulente legale del Comune. In tutta questa vicenda, l’assessore-vicesindaco parla con i media solo attraverso i suoi avvocati, minacciando querele ai pochi giornali che sollevano il caso, mentre il sindaco è come se vivesse in un’altra città. Be’? Cosa succederebbe se questa storia fosse vera? Immagino: bufera politica, richieste di dimissioni, titoloni sui giornali, probabilmente anche interrogazioni parlamentari, l’intervento del governo, persino il commissariamento di una Giunta così gravemente incapace di affrontare le proprie responsabilità. Ma questa è una storia che non è accaduta. Però, se cambiate le parole: “direttore” con “parroco”, “assessore” con “vicario”, “Comune” con “Curia” e “sindaco” con “arcivescovo”, allora avrete una storia vera. Ma in questo caso non è accaduito nulla, nulla di nulla.
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